Storia

(la fotografia con la torre Campanaria è di Roberto Barranca, la Porta Palatina è immortalata da Anna Ottonelli, La Torre cpl Duomo è di Bursuc Mihai)

Periodo preistorico.
5 – 2,5 milioni di anni fa:
Le terre affiorano da un antico mare (residuo dell’oceano Tetide), andando via via asciugandosi. Col passare dei millenni si osserva la presenza di un golfo padano, costituito dal mare circondato da terra emersa (le Alpi), ed isole in corrispondenza della collina torinese.
2,5 – 700000 anni fa:
Continua il sollevamento della collina torinese e delle valli alpine, intanto che il mare mano a mano si ritira lasciando posto alla pianura padana. Una fitta rete di fiumi scendono verso valle in un territorio ricco di paludi.
700000-10000 anni fa:
Si susseguono ere glaciali con formazioni di ghiacciai che periodicamente arrivano fino in pianura, a periodi temperati.
10000- 2000 a.C.:
La struttura fisico territoriale della zona è ormai simile a quella attuale.
2000-218 a.C.:
Nell’età del bronzo la zona piemontese si presenta ricca di tribù etniche differenti e variegate, dalle quali, col passare del tempo grazie all’affinarsi di specializzazioni umane, emergono ceti dominanti dinamici, quali artigiani e mercanti.
Si vanno formando sul territorio, delle capillari vie commerciali, seppur rimanendo l’assetto generale della struttura sociale basata sui villaggi, parte dei gruppi si spostano dietro navigazione fluviale.
Nell’età del ferro (900-200 a.C.) i residenti nella zona torinese, attraverso le vie fluviali commerciano con gli Etruschi e gli Italici, interessati ai giacimenti minerali (rame, piombo argentifero, ferro) presenti nelle Alpi occidentali. Scambiando inoltre con le popolazioni Celtiche dell’Europa centrale.
Fino a quando, le invasioni Galliche del IV secolo a.C. indussero al crollo di tale sistema economico. Ridimensionando i gruppi in sottogruppi impegnati in attività prevalentemente belliche.
In questo contesto si inserisce l’insediamento della città dei Taurini.

Passiamo alla storia di Torino:
Tralasciando la leggenda che vuole Torino discendente dall’antico Egitto.
Quando, nel XVI secolo A.C., la figura mitologica di Fetonte, a seguito di disaccordi religiosi, abbandonò l’Egitto, quindi, navigando attraverso il mar Mediterraneo raggiunse la Liguria, da qui, risalendo via terra, si fermò in una zona favorevole, laddove il fiume Po (in seguito denominato Eridano, appunto come il figlio di Fetonte) gli ricordava il Nilo.
E qui avrebbe fondato un culto dedicato ad un Dio egizio dalle sembianze di Toro. 
“Leggenda”.
Ma partiamo dagli inizi, dando per certo quanto gli storici hanno scoperto e rivelato. 
Ovviamente, più si va a ritroso nel tempo più le certezze stemperano. 
Soprattutto riguardo ai primi insediamenti umani nella nostra zona, quando, nel III secolo A.C. (la bellezza di 2320 anni fa), tribù di Celti-Taurini (provenienti dalla Liguria), o più probabilmente Celti-Tauristici (provenienti dalla Baviera), si insediarono lungo le rive del fiume Po, in prossimità dell’affluenza del fiume Dora. 
(Ponte Sassi, c.Belgio, lungo Po Antonelli, lungo Dora Voghera, ovvero in corrispondenza del parco Brigata Alpina Taurinense).
Essendo zona favorevole al vivere di allora, formarono un villaggio chiamato Taurinia (o forse Taurasia).
Quando nel 218 A.C. Annibale oltrepassò le Alpi cercando alleati tra le tribù presenti in zona (Piemonte), i Taurini non accettarono, ma dopo diversi scontri dovettero soccombere al famigerato condottiero.
Proviamo ad immaginare il paesaggio globale di allora. 
Restringiamo sull’area Piemonte,  
all’orizzonte si offrivano montagne selvagge, prevalentemente foreste, arbusti, vallate cespugliose e fiumi. Null’altro se non natura selvaggia deboschizzata in qualche piccola area e minuscoli sentieri dove gli insediamenti umani formavano villaggi.
Animali selvatici tra i quali proliferavano canidi e linci.

Deve trascorrere un secolo e mezzo, 160 anni, (quattro generazioni di 40 anni d’allora) per arrivare al 58 a.C. Quando l’area (attuale Ponte Sassi) venne insediata da un accampamento militare Romano, del proconsole Giulio Cesare. Il quale, procedendo lungo la via delle Gallie, considerò strategica la posizione del luogo.
Posizione che ampliò nel 44 a.C. chiamandola Julia Taurinorum, e successivamente, nel 28 a.C., consegnata al figlio adottivo, anch’egli insediatosi con una seconda colonia, prese il nome definitivo di Augusta Taurinorum.
Solamente nel I secolo d.C. La città venne registrata nelle carte come “tribù romana”, quindi prendendo la tipica forma a scacchiera venne cintata da mura.
Attualmente individuabili in 
Porta Pretoria (attuale casaforte degli Acaja, piazza Castello) 
Porta Dextera (Porta Palatina tutt’ora esistente) 
Porta Sinistera, attualmente scomparsa (v.San Francesco d’Assisi angolo via Santa Giulia) 
Porta Decumana, anch’essa scomparsa (v.Garibaldi angolo via della Consolata).
All’interno della città a pianta quadrata vi si svolgeva una fervente vita locale, dove artigiani dediti alla lavorazione di vetri, di metalli e alla produzione di vino e laterizi, convivevano con militari. La popolazione in quel periodo era costituita da 2-3000 unità.

398-569 d.C.
Allo sfiorire dell’impero romano anche la città subisce un impoverimento generale, le mura logorate dal tempo vengono rattoppate con materiali di second’ordine, come il legno e l’argilla. Il teatro, caduto in disuso, viene utilizzato come cava per estrarre materiale adoperato per la costruzione della prima cattedrale cittadina (nell’area dove attualmente sorge il Duomo). Ben presto in città arriverà il primo vescovo, Massimo, che si incaricherà di organizzare un importante sinodo delle Gallie.
Successivamente alle guerre tra Goti e Bizantini, e intorno al 570 alla conquista longobarda, verrà sancito la fine di questa prima organizzazione comunale.

Medio Evo (570-1563)
Nel 591 un duca di Torino viene eletto Re dei Longobardi (Agilulfo). Dal ducato di Torino poteva governare l’intera pianura padana, dividendosi il dominio con gli altri ducati piemontesi, Asti, Ivrea e San Giulio d’Orta. Nello stesso tempo la città si allontanò dal dominio oltralpe di dominazione franca, collegato da due fondamentali canali di comunicazione, aventi Aosta e Susa come siti di confine.
Successivamente i re longobardi si spostarono nella maggiormente centrata capitale Pavia. 
Dal 773 all’888, ovvero da quando il re franco Carlo Magno sconfisse il Re dei Longobardi, Torino divenne capoluogo di una provincia Carolingia.
Successivamente, dal 950 al 1091 Torino diviene città ancor più centrale e autoritaria estendendo un controllo sulle importanti strade di comunicazione, come la via Francigena della val di Susa. I marchesi cittadini esercitano il loro potere presso un palazzo eretto a Porta di Susa.
Fino a quando, dopo varie successioni, nel 1091, alla morte della contessa Adelaide, rimane un vuoto governativo colmato da forze ecclesiastiche. Il territorio torinese per diverso tempo divenne così disputa di contese signorili. 
Questo fino all’arrivo dei Savoia, un secolo dopo.

Nel 1280 Torino viene ceduta a Tommaso III di Savoia, che la lascia al nipote Filippo d’Acaja, assieme al predominio sull’intero Piemonte.
Filippo trasferisce il centro del potere presso piazza del municipio.
Siamo nel 1348 e la popolazione di Torino è sulle 3-4000 unità    
Intorno al 1404 si hanno ragguagli di rinnovamento urbano, un segnale forte avviene per via della fondazione dell’università “Stadium”, edificata in via San Francesco, accanto alla Torre civica.
Altri ancora vede l’acquisto di nuclei quali l’attuale palazzo civico, fino a quel momento le riunioni del consiglio venivano eseguite presso abitazioni private.
alla fine del 1400 la popolazione raggiunge le 5-6000 unità.
Negli anni delle guerre tra francesi e imperiali gli eserciti dei re di Francia vengono ospitati nel castello di Torino.

Nel 1536 Torino viene occupata dai Francesi, quindi nel 1538 il Piemonte sabaudo viene annesso alla Francia, col favore del popolo.
In quel periodo di dominio francese la città vive un favorevole sviluppo economico e demografico. Arricchendosi di alberghi e taverne.
Uno, storico, è l’albergo del Cappel Rosso che sorgeva in via Garibaldi angolo via Porta Palatina.
Nel 1548 il Re Enrico II riconquista Torino.
In quel periodo la città assume cultura militare e rilevanza fondamentale, in quanto, nel 1563 la capitale viene trasferita da Chambery a Torino per merito dei duchi Emanuele Filiberto (1563-1580) e Carlo Emanuele I (1580-1630). La città riceve un ulteriore ampliamento urbano ad opera di Emanuele Filiberto. In quel periodo viene costruito il Mastio della Cittadella.
Carlo Emanuele I fortifica ulteriormente la città triplicandone le dimensioni. Inoltre fa costruire un santuario per l’ostensione della Sindone.

Con la morte nel 1675 di Carlo Emanuele II e la reggenza di Maria Giovanna Battista di Savoia, (1675-1684) la città si indebolisce.
Fino a quando, nel 1713, a seguito del trattato di Utrecht, Torino diviene capitale anche del regno di Sicilia, commutato nel 1718 in Regno di Sardegna. In quel periodo regna Vittorio Amedeo II.
E’ in quel periodo che il Re chiama dalla Sicilia l’architetto Filippo Juvarra e lo incarica di edificare un rinnovamento urbano di prim’ordine per una città divenuta capitale e polo internazionale.
Sue le opere della facciata di Palazzo Madama, Basilica di Superga, Palazzina di Stupinigi, facciata della chiesa di Santa Cristina, chiesa del Carmine, di San Filippo. Avvia anche un progetto di ristrutturazione urbanistica presso porta Palazzo. Nel 1735 Juvarra si trasferirà a Madrid, chiamato da Filippo V di Borbone.
A Vittorio Amedeo II succederà Carlo Emanuele III (1730 – 1773), e Vittorio Amedeo III, i quali seguiranno a continuare l’ampliamento intrapreso dal predecessore.

Nel 1802, con la definitiva annessione del Piemonte alla Francia, Torino dopo aver perso il grado di capitale, diventa un nodo cruciale di scambio.
La città subisce un’ulteriore trasformazione edilizia, viene suddivisa in quattro distretti ed i cittadini si trovano costretti a pagare una tassa fondiaria.
A Torino viene impiegato il sistema Parigino, ovvero le vie vengono indicate con un nome specifico e le abitazioni numerate in ordine progressivo, permettono di individuare con precisione la residenza di ciascun cittadino.
Quando nel 1814 Vittorio Amedeo Ritorna dall’esilio, si trova di  fronte ad una città irriconoscibile. La città che ritorna ad essere capitale di un regno, lo diviene su pianta urbanistica francese.

Torino vive un fiorente sviluppo demografico e strutturale, fino a quando, dopo essere divenuta la prima capitale d’Italia, nel 1861, ed aver vissuto e visto l’alternarsi di personaggi fondamentali per la vita e le sorti del paese, si vede defraudata del ruolo di capitale del regno, che nel 1864 passerà dapprima a Firenze, e subito dopo definitivamente a Roma.
In città avverranno una serie di disordini duramente repressi.
Seguirà un esodo massiccio della popolazione ed un drastico ridimensionamento economico cittadino.
Intorno agli anni 1870 inizia a delinearsi l’insorgere di aree a carattere manovale dovute al cambiamento innescato dalle innovazioni industriali.
Dal 1908 l’assetto periferico della città si amplierà con la comparsa di zone a forte influsso operaio.
Viene costruito il primo grande parco cittadino, il parco del Valentino. Vengono costruite le uniche due vie trasversali nel centro della città: via Pietro Micca e via IV Marzo. Vengono costruiti ex novo edifici e borghi resi cadenti dal tempo.
Nel periodo che intercorre tra le due guerre sorgono, su modello dell’americana Ford, i due grandi stabilimenti Fiat, Lingotto e Mirafiori.
Nel dopoguerra, grazie al boom economico che vede coinvolto tutto il nostro paese, la città si espande a macchia d’olio. La Fiat richiama decine di migliaia di operai provenienti da tutta Italia. Sarà quello il periodo di maggiore espansione di Torino, che agli inizi degli anni ’70 supererà i 1.200.000 abitanti.
(attualmente “2020” ne conta 867.620)
Il ventennio a seguire vedrà la città arroventata da un clima di forti contrasti operai, all’insorgere delle Brigate Rosse in un periodo ricordato come “anni di piombo”.

La storia ancor più recente vede la città perdere parte della rilevanza industriale a favore di una nuova impronta turistica. Grazie alle olimpiadi del 2006 grossi investimenti hanno pedonalizzato parte del centro cittadino ridando lustro agli aspetti storico-culturali cittadini. 
Il futuro proietta la città verso una mobilità velocizzata, oltre che “green”.
Di recente costruzione e’ la Spina, ampio corso che taglia Torino da sud verso nord. Sempre di recentissima costruzione una fitta rete di piste ciclabili correlate da mezzi di vario genere. Dai monopattini, alle biciclette al car-sharing.

(La maggior parte delle informazioni sono state ricavate mediante il consulto virtuale di Museo Torino )

Storia di Torino, parte 1/2

Storia di Torino, parte 2/2

Storia del pianeta Terra

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L’ oggetto più antico:
Si tratta di un anello verde, ha 7000 anni, e venne scolpito nella pietra verde del Monviso, fondamentale per la sopravvivenza delle generazioni future, che ne commerciarono in tutta Europa.
Venne ritrovato in borgata sassi sul finire dell’800 ed attualmente è conservato presso il Museo di Antichità di Torino.
https://www.museireali.beniculturali.it/museo-antichita/

Foto presa da Museo di Antichità Torino

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L’origine del nome Piemonte:

In  tutta l’ epoca romana il nome Piemonte non esisteva.
Tra il 900 e il 1100, essendo aumentata la popolazione, e questa caratterizzata sia di svolgere scambi economici che sanguinose lotte di dominio , subentrò la necessità di un distinguo. Fino a quel momento esisteva solo la Lombardia.
Il toponimo Piemonte comparve  per la prima volta in un diploma assegnato ad una contessa “Adelaide”. Si era nel 1075, dove comparve un chiaro riferimento alla zona “ Pedem Montium”.
In un altro documento, datato 1193, si parlava di “ castellani de Pedemontibus”.
Dove il  Piemonte era una zona compresa tra il fiume Tanaro e le Alpi Cozie fino al  torrente  Sangone.
Alla fine del medioevo il termine Piemonte, ormai comunemente adottato, coincideva con l’estendersi dei domini padani dei  Duchi di Savoja.
(fonte: http://www.civico20news.it Gervasio Cambiano)

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Il Pantheon di Torino:
Così come Roma, anche Torino ha il suo Pantheon.
Edificio Neoclassico, situato in strada castello di Mirafiori 148/7, consiste in una copia in miniatura del famoso tempio romano dove, fino al 1972 era custodita la tomba de la Bela Rosin, moglie di re Vittorio Emanuele II, la quale non divenne mai regina. Per questo motivo, nel 1885, quando ella morì, non venendo sepolta al Pantheon di Roma, dove riposava il re Savoia; i suoi figli decisero di costruire per lei un pantheon più piccolo.

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Statuto Albertino:
Presso il Museo Storico dell’Archivio di Stato (in piazza Castello 209), vi è conservato un documento molto famoso: lo Statuto Albertino.
Promulgato il 4 marzo 1848, dal Re Carlo Alberto di Savoia, era una carta costituzionale del Regno di Sardegna.
E’ composto da 84 articoli scritti sopra 6 fogli (fronte-retro), in lingua italiana e francese, con alla fine apposte in calce le firme di Carlo Alberto e degli allora Ministri.
I Ministri allora esistenti si occupavano: degli Interni, Esteri, Guerra e Marina, Finanze, Grazia e Giustizia, Pubblica Istruzione, Lavori Pubblici.

Fotografia di Museotorino.it

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La festa di San Giovanni:
Annualmente a Torino, il 24 Giugno si festeggia San Giovanni Battista, patrono della città.
Originariamente, prima che il Cristianesimo si inserisse col proprio Santo, si trattava di una festa pagana piemontese.
Dove nei giorni di solstizio d’estate il sole era il culto naturale, e dove attorno al falò (farò in torinese) era consuetudine della gente abbandonarsi in danze e canti.

Fotografia di Roberto Barranca

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Storia dell’illuminazione pubblica a Torino:
Nel 1675, la Madama Reale Giovanna Battista di Nemours, decise di fare illuminare le strade della propria città, facendo porre in corrispondenza degli incroci lampade ad olio.
Un secolo dopo venne adottato un sistema di illuminazione più moderno, che consisteva nella dislocazione di 625 lanterne ad olio e a sego (grasso animale).
Col correre del tempo, arrivati nell’800, le lanterne a olio e sego vennero via via sostituite da quelle a gas.
Siamo arrivati alla metà dell’800 e oltrefrontiera si stava diffondendo l’arrivo dell’elettricità. Fu proprio un abitante di Piossasco, Alessandro Cruto, uno dei fautori di quest’avvento.
Nel 1882 in via Roma venne installato il primo lampione illuminato grazie all’avvento dell’elettricità.
Nel 1907 venne istituita l’Azienda Elettrica Municipale.

Immagine

(Fotografia di Nina Ninova)

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Le palafitte di Viverone:
Famosa area situata nel lago di Viverone, presso Azeglio, al confine tra le province di Biella e Torino.
In una zona paludosa, il sito è formato da oltre 5.000 pali che sorreggevano diversee strutture di un enorme villaggio dalla planimetria circolare, con 70 m di diametro.
L’ambiente circonstante consiste in un area protetta formata da paludi, prati e pioppeti.
Il villaggio è un esempio di struttura abitativa dell’età del Bronzo.
All’interno del villaggio si trovavano abitazioni e recinti per gli animali.
Le palafitte preistoriche non erano costruite sull’acqua ma sulle sponde dei laghi: i piani erano rialzati per ripararsi dall’umidità del suolo e dalle piene improvvise.
Durante le campagne di ricerca è stata ritrovata una grande quantità di reperti (soprattutto spade, asce, spilloni e altri ornamenti femminili) che permettono di ricostruire la vita di una comunità della media età del Bronzo, tra il 1650 e il 1350 a.C..

I reperti sono conservati presso il Museo di Antichità di Torino, il Museo del Territorio Biellese e a Viverone presso il Centro di Documentazione allestito accanto agli Uffici Comunali, dove un interessante allestimento museale racconta la storia di questo gioiello sommerso. 
Sul Lago non è possibile individuare le tracce del villaggio originale, ma nel Comune di Azeglio loc. Boscarina, è stato ricostruito un approdo palafitticolo rievocante l’originale.
(da: https://www.atl.biella.it/)

Fotografia di Diego Guidone

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La fortezza più alta d’Europa:
Il Forte dello Chaberton, costruita tra il 1898 e il 1910 dal Regio esercito nella val di Susa, in cima al monte Chaberton, poco prima dell’inizio della prima guerra mondiale, è la fortezza più alta d’Europa, ubicata a 3130 metri.
Edificata con lo scopo di rafforzare la guardia verso il confine francese, in quell’alta posizione strategica era praticamente irraggiungibile dalle forze nemiche del tempo.
Da lì teneva a tiro la zona di Briançon.
Costruirlo fu una vera impresa, da tenere in considerazioni, i mezzi a disposizioni di quel tempo, una volta terminato, nel 1910 venne abbandonato durante la prima guerra Mondiale.
Per poi essere nuovamente impiegato a scopo militare nel 1940.
Fu definitivamente abbandonato nel 1945.
Alla fine della seconda guerra l’Italia si vide costretta a spogliarlo di tutto, abbandonandolo a se stesso.
Quando nel 1987 venne chiusa la strada che da Fenils portava in vetta il forte fu definitivamente tagliato fuori da qualsiasi interesse.
Malgrado ciò, ancora oggi resiste imponente, forte dei suoi 3000 e più metri di altezza domina facendosi ammirare.
E’ comunque raggiungibile dal versante italiano, da Claviere risalendo il vallone delle Baisses fino al Colle dello Chaberton.

Fotografie di Marco Siano

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1865 – Il trasferimento della capitale:
Torino capitale del Regno d’Italia era divenuta città di rilevanza mondiale, non che già non lo fosse, ma una rapida espansione generale faceva si che nel 1862 contava quasi 205.000 abitanti.
Malgrado ciò, il suo ruolo di capitale era scomodo e da molti contestato. 
Diversi politici, tra i quali il presidente del consiglio Minghetti, ne chiedevano il cambiamento a favore di una città geograficamente più centrata nel paese. Questo il motivo dichiarato.
Quando, nel 1864, Minghetti fece accordi con la Francia, per ufficializzare il cambiamento, i cittadini insorsero e lo fecero assieme al Regio Esercito dando inizio ad una sanguinosa strage, motivata dalla perdita, oltre che di prestigio, di lavoro legati all’indotto portato dai ministeri.
Malgrado i feroci tafferugli e manifestazioni, la capitale venne comunque trasferita, dapprima a Firenze, successivamente a Roma.
All’ingente perdita conseguente a siffatta decisione Torino reagì dando inizio ad uno sviluppo industriare che la consacrerà in un imminente futuro capitale economica del paese.
A conferma di ciò già nel 1866, il sindaco Galvagno promosse l’edificazione di nuovi canali e mulini per l’acqua e l’energia da utilizzare per le prime industrie.

Immagine da https://upload.wikimedia.org/

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Torino nel Medio Evo:
Una volta che l’Impero Romano decadde, incominciò un periodo buio. Il Medioevo.
Il nord Italia subì un lungo periodo di degrado e saccheggi per mano dei Burgundi capeggiati da Gundobado.
Nel 490 493,Torino era divisa in quattro borghi, che avevano il nome delle quattro porte (Marmorea, Palatina, Segusina e Praetoria) rovinate dalle invasioni subite.
La via centrale portava un refluo di acque maleodoranti: Dora Grossa. Appena fuori le mura, era stato costituito un lebbrosario atto ad ospitare, oltre ai contagiosi, malati e i feriti dalle battaglie.
Dopo il 493, grazie alla vittoria dell’ostrogoto Teodorico, ai danni di Odoacre, ci fu un breve periodo di ricostruzione. 
Il periodo di dominazione Ostrogota non durò a lungo, quando nel 553 cedettero alla guerra Gotica, Torino passò sotto l’impero Bizantino, fino al 569, quando fu definitivamente occupata dai Longobardi.

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Anfiteatro Augusta Taurinorum:
Costruito tra il I e il II secolo d.C. si presume fosse situato appena al di fuori delle antiche mura cittadine. L’anfiteatro ospitava manifestazioni di diverso genere, dagli spettacoli teatrali ai combattimenti tra gladiatori ed animali.
Di forma ellittica, con suolo in sabbia (per i combattimenti) era circondato da una gradinata dove il pubblico poteva accomodarsi. La prima fila veniva occupata dalle autorità e dai militari.
Pur non esistendo prove archeologiche, il legislatore “Guido Panciroli”, verso la fine del 1500 scriveva che “Fuor di Torino nella strada verso Pinarolo si vedono i vestigi di un Anfiteatro, se bene nò di quella perfettione dell’Anfiteatro di Verona”.
Si deduce che l’anfiteatro sorgesse fuori dalla porta meridionale, la Porta Marmorea, proprio nel settore cittadino interessato dagli ampliamenti seicenteschi della “città nuova”, seguiti allo sfondamento delle mura realizzato nel 1587. Domenico della Bella, detto il Maccaneo, nel 1505, lo descriveva appunto fuori dalla porta meridionale.
Altre informazioni sull’esistenza dell’anfiteatro vengono da una pianta militare stilata alla fine del Cinquecento, dove è visibile un boschetto ellittico che corrisponderebbe alle rovine dell’edificio ormai occupate dalla vegetazione.
Si presume potesse essere collocato in corrispondenza dell’intersezione tra via Arcivescovado e via dell’Arsenale.
A testimoniare tale posizione, nel 1573, lo storico Emanuele Filiberto Pingone, colui che scrisse la prima storia di Torino, colloca l’anfiteatro fuori dalla Porta Marmorea.
Facendone risalire la distruzione al 1536, ad opera dei Francesi, che occupando la città la radono al suolo. Filiberto Pingone rinvenne nell’area dell’anfiteatro, ai suoi tempi paludosa, diversi reperti di matrice romana.

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Carcere “Le Nuove”:
Tempo fa andammo a far visita al carcere: “Le Nuove”, da anni diventate museo.
Ad accompagnarci come guida: Giancarlo Stanga, un garbato signore capace di trasmettere nell’intimo quello che il contesto mostrava.
Le Nuove sono un complesso carcerario costruito tra il 1857 e il 1859, nell’allora periferia cittadina. Attive dal 1870 al 1989, in zona corso Vittorio angolo via Borsellino.
Fu edificato per racchiudere in un unica struttura le numerose piccole celle allora sparse nella città. Celle dove i detenuti erano raggruppati in angusti spazi maleodoranti e privi di igiene.
Al tempo, sotto l’egida di Vittorio Emanuele II, Torino, divenuta capitale del Regno d’Italia, venne ampliata con caratteristiche all’avanguardia. E in quelle rientrò l’edificazione del carcere ad isolamento totale.
Un innovazione carceraria del tempo fu la costruzione di celle singole per ciascun detenuto. Si contano 648 celle dalle dimensioni di 2, 26 metri di lunghezza, 4metri di larghezza, 3 metri d’altezza, provviste ciascuna di una finestrella per la presa d’aria, collocata a 2, 10 mt.d’altezza.
Il carcere comprendeva:13 bracci, 6 cortili e 2 cappelle, in un area di 37.632 metri quadri. Racchiusa da una doppia cintura muratoria, una alta 5 metri, con ai vertici 4 torrette di guardia.
Era un carcere assai temuto, in quanto fino al secondo dopoguerra nell’interno venivano applicate regole assai rigide.
Durante il periodo fascista, un braccio fu utilizzato dai nazisti a fini politici e per torture.
Negli anni cinquanta la struttura ricevette un mutamento migliorativo, riguardo alla qualità della forzata degenza. Vennero unificati i cortili, ampliate le finestre, installato il riscaldamento nelle celle, istituiti locali per corsi professionali, ed asilo per la prole delle detenute.
Dalla fine degli anni ’80 la zona penitenziaria fu trasferita al carcere Le Vallette.
Le Nuove attualmente è diventato un museo.
http://www.museolenuove.it/

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Via Garibaldi:
Via pedonale lunga quasi un chilometro (963 mt.), collega piazza Statuto a piazza Castello.
E’ la via pedonale più lunga d’Italia, seconda in Europa, dopo Rue Sainte-Catherine a Bordeaux.
Esiste dall’epoca romana, quando si chiamava “Decumanus Maximus” e collegava la porta Decumana alla Porta Praetoria.
Era la via principale di una città che a malapena contava 5000 abitanti.
Agli inizi del 1700 la via si era degradata; ridotta in ampiezza e caduta in uno stato di deterioramento aveva assunto il nome di “Contrada Doragrossa”.
Grazie ad un editto di Carlo Emanuele II riacquistò autorevolezza. Con un restauro durato oltre un ventennio, la via fu ampliata, munita di marciapiedi e affiancata da palazzi prestigiosi.
Durante il breve dominio Francese gli venne cambiato nome in “Rue du Mont-Cenise”, fino a quando, rientrati i Savoia acquistò il nome di “via Dora Grossa”.
Fu dopo la morte dell’Eroe dei due Mondi (1807-1882) che la via gli venne dedicata.
Fino a1 1979 era percorsa da automobili e da tre linee tranviarie. Quando la giunta comunale decise di pedonalizzarla andò incontro a forti proteste da parte dei commercianti e dei cittadini, subito affievolite dall’esito vincente di tale scelta.

Fotografia di Bursuc Mihai

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La “spagnola” a Torino:
Tra la primavera del 1918 e l’inverno del 1919, quando ancora era in corso la Prima Guerra Mondiale, una grave epidemia infettò 500 milioni di persone nel mondo, mietendo 50 milioni di vittime.
La grande influenza fu la prima pandemia ad entità mondiale, ed e’ rimasta alla storia come “spagnola”, in quanto i quotidiani Iberici, liberi da censure di guerra, furono i primi a poterne parlare.
I primi casi registrati in Piemonte avvennero nell’autunno del 1918, a Torino, in Val d’Ossola e a Aosta (allora provincia Piemontese).
L’insorgere della pandemia venne affrontata con ottimismo, come riprovano alcune testate giornalistiche del tempo.
Il governo non adottò nessuna misura preventiva, nessuna chiusura o limitazione, se non l’isolare i casi gravi in strutture adattate per la situazione.
Nel limite della conoscenza del tempo furono sperimentati numerosi vaccini, invano. 
I cosiddetti “rimedi della nonna” si proponevano ovunque…Canfore, agli, chinini, oli di diverso genere, bicarbonato.
Un rimedio diffuso nei paesi montani fu il latte corretto con grappa.
La prima ondata di contagi arrivò nella tarda primavera del 1918, si manifestò più blanda della seconda autunnale, per poi inasprirsi a partire da dicembre per un anno, fino all’inverno del 1919.
A Torino, nell’Ottobre del 1918 i morti arrivarono a essere 400.
Riportiamo alcune notizie (a cura di: civico20news.it) estrapolate dal quotidiano “La Stampa” del 1918:
La Stampa – Lunedì 22 luglio, pagina 2: “NOTIZIARIO ESTERO – L’istituto sieroterapico di Copenaghen ha accertato che il bacillo che caratterizza la cosiddetta malattia spagnola è identico al bacillo dell’influenza. L’epidemia continua a fare stragi. Gran numero di medici e infermiere ne sono colpiti”.
La Stampa – Martedì 24 settembre, pagina 2: lunga lettera di un medico, del quale non è riportato il nominativo, dal titolo “In tema d’influenza e di dissenteria”. Dopo una dissertazione generale sui sintomi dell’influenza, passa ad analizzare perché sia, nell’anno in corso, particolarmente grave: prima causa “in gran parte ai numerosi agglomeramenti, militari e operai”.
Il fatto che poi si sia diffusa notevolmente in una stagione inusuale è dovuto alla lunga siccità e alla sua diretta conseguenza: la polvere. “Polvere nelle contrade, polvere sui corsi, sotto i portici, sulle scale, negli appartamenti, sollevata a dense nuvole o subdolamente insinuantesi, visibile od invisibile …” per azione sia meccanica sia delle porcherie che trascina lesionerebbe ed infetterebbe le vie respiratorie.
Nell’attesa della pioggia “innaffiare, innaffiare, innaffiare generosamente, frequentemente, e poi spazzare non solo le contrade principali ed i corsi più centrali, ma anche gli angoli remoti …”, ricorrendo per ciò anche all’uso dei militari. Vietata la scopatura a secco.
Quanto alle precauzioni individuali, le solite: “vita regolata in tutto, astenersi dai convegni affollati, respirare il più che possibile soltanto per le nari, non trattenersi, senza vera necessità, nelle camere dei malati d’influenza, la più scrupolosa pulizia personale, con riguardo speciale pei fazzoletti, ecc., ecc.”, fiduciosi che l’infezione “sarà presto passata”.

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Napoleone e i Bersaglieri:
Cosa accomuna Napoleone Bonaparte e il corpo militare dei Bersaglieri?
Una correlazione indiretta, ma importante.
Agli inizi dell’800, Napoleone Bonaparte fece costruire la Strada Statale del Moncenisio.
Fino a quel momento esisteva soltanto una ripida e sconnessa mulattiera lastricata, la “Strada Reale” dei Savoia, strada tortuosa assai difficoltosa da transitare, soprattutto in inverno.
La nuova strada costruita da Napoleone era perfettamente carrozzabile in qualsiasi stagione e presentava pendenze modeste.
Si ritiene che i Savoia non ne costruirono una analoga per motivi strategici, in quanto temevano che con una strada agevole i francesi avrebbero potuto transitare facilmente per andare ad invadere Torino.
Costruita la nuova strada, Napoleone, un giorno d’inverno del 1807, mentre stava transitando in carrozza sul valico del Moncenisio, venne sorpreso da una tormenta, quindi, bloccato dalla neve abbondante, rischiò di morire assiderato. Per sua fortuna due “marrons” (portatori del posto che aiutavano i viandanti nella pericolosa e lunga traversata del valico), di nome Martin Boch e François Bouvier, lo soccorsero salvandogli la vita.
Come riconoscenza Napoleone elargì a ciascuno di loro un vitalizio. Quindi decise di far costruire anche numerosi “ricoveri” lungo la strada, ogni poche centinaia di metri l’uno dall’altro: piccole costruzioni in muratura, alcune delle quali sono tutt’ora presenti.
Tempo dopo, il generale Alfonso Lamarmora (nell’inverno del 1861) rimase bloccato per ben 37 ore nel citato Ricovero n° 4, in attesa della fine della tormenta. Grazie al quale tenne salva la propria vita.
Napoleone Bonaparte mai avrebbe immaginato che, costruendo prima la grande strada e in seguito i suoi utilissimi Ricoveri, avrebbe dato una mano anche al Regio Esercito Italiano e ai Bersaglieri.
( da una ricerca dell’ing. Giovanni Albera (detto Johnny), socio della Sezione Bersaglieri “A. La Marmora” Torino )

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Il mestiere piu’ antico al mondo a Torino:

Nel XV secolo la prostituzione, oltre ad essere consentita, veniva gestita direttamente dal Comune con dimore stabili collocate vicino a Porta Pusterla (pressapoco l’attuale piazza Savoia).
Le meretrici avevano libera uscita il sabato ed il mercoledi, durante quei due giorni erano obbligate ad esibire un segno di riconoscimento, ovvero un nastro colorato affisso sulla spalla destra del corpo.
Verso la fine del secolo, Carlo Emanuele I obbliga le prostitute ad andare ad abitare nella parte periferica della città, in prossimita’ delle mura.
Non potevano oltrepassare la zona dell’attuale via Bertola, ove le donne esercitavano la propria professione, addescando i probabili clienti che si trovavano a passare di lì avvolgendoli con scialli ed enormi vesti.
Dalla prima meta’ del 1600, in citta’ venne proibita la prostituzione, seguì un altalenarsi di più o meno drastiche restrizioni, fino al periodo napoleonico, quando venne nuovamente concessa in maniera maggiormente controllata, per lo meno dal punto di vista sanitario.
Essendo i militari avezzi all’uso di tal mercato, il pensiero suggellato da un detto comune di allora era:
“Fa piu’ morti una prostituta malsana che un campo di battaglia”.
Con il ritorno dei Savoia ritorno’ il proibizionismo.
La Polizia sguinzagliata per i controlli operava a spron battuto, arrestando meretrici di ogni eta’.
La maggior parte avevano tra i 15 e i 30 anni, in una media spesso al di sotto, la maggior parte affette da malattie gravi e contagiose.
A meta’ dell’800 se ne contavano piu’ di 2000 e la zona di lavoro si dipanava nel quadrato racchiuso tra via Bertola, via Stampatori, via dei Mercanti e via Santa Maria.
Zona in auge fin oltre la meta’ del secolo scorso.
Nel febbraio del 1860, il Ministero dell’Interno emanò un nuovo regolamento per la prostituzione, denomnato “Regolamento Cavour”, che venne esteso a tutto il Regno d’Italia.
Riprendeva molte disposizioni dal Codice napoleonico, e le case dove si poteva praticare la prostituzione (denominate “case di tolleranza”) erano controllate dello Stato, tramite la Polizia.
I punti fondamentali del Regolamento Cavour erano:
Iscrizione (schedatura) delle prostitute
Visita medica periodica
Cura obbligatoria nei sifilocomi fino alla guarigione.
Il Regolamento Cavour rimase in vigore fino al 1888, sostituito dalla legge Crispi.
Con questa legge si proibirono la vendita di cibi e bevande, l’assembramento, i balli, i canti nei bordelli, e gli stessi proibiti nelle vicinanze di negozi, scuole e asili.
Si stabilì inoltre che le imposte sugli infissi dovessero rimanere chiuse, creando così l’espressione ancora attuale di “case chiuse”.
Le prostitute, infine, non erano più obbligate a registrarsi ufficialmente ma erano i luoghi a dover essere registrati.
Questo, fino al 1958, quando, la legge Merlin (ancora in vigore), divenne operativa il 20 settembre 1958. Questa legge, abrogò tutte le leggi precedenti in materia, vietando di fatto i bordelli, e creando il reato di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.

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Mole Antonelliana:

La Mole Antonelliana, all’epoca che venne ultimata, per parecchi anni fu la struttura in muratura più alta al Mondo.
Tutto incominciò, quando nel 1863, dietro commissione della comunità Ebraica, Alessandro Antonelli venne incaricato di costruire un Tempio alto 47 metri.
I lavori partirono a spron battuto, ma dopo qualche anno la scelta strutturale adottata da Antonelli non venne apprezzata dalla comunità Ebraica.
L’architetto apportò così, a lavori in corso, diverse variazioni al progetto iniziale, variazioni che andavano a modificare la conformazione concepita inizialmente. Nel 1873, la comunità, delusa per l’evolversi dei lavori e dei costì, cedette l’opera al comune di Torino, in cambio di un terreno in zona San Salvario.
Antonelli riprese così in mano il progetto, modificandone la struttura per innalzarla ulteriormente, fino a 90 metri. Successivamente, (e siamo negli anni 1885-1887), la fa arrivare a 113 metri.
L’idea ultima dell’architetto è quella di apportare una guglia ad ultimare la struttura, fino a farle raggiungere l’altezza di 167,35 metri. Ponendogli in cima il Genio Alato.
Antonelli, ormai novantenne, seguì personalmente l’evolversi dei lavori, salvo morire nell’ottobre del 1888, a pochi mesi dal compimento dell’opera.

Nella foto appare dopo il nubifragio, che nel 23 Maggio del 1953, le portò via la parte finale della guglia.

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I Boia di Torino:
La figura dei boia, a Torino così come ovunque, era malvista dalla gente comune, e muoversi nella quotidianità sotto gli sguardi di chi ti vuol male non doveva esser facile.
Per questo motivo, oltre ai guadagni proficui, sovente i boia si trovavano a vivere isolati. 
Questo mestiere, tanto macabro quanto utile per la giustizia di allora, solitamente veniva tramandato di padre in figlio.
A partire dal 1500 in “via dei Fornelletti” (via Franco Bonelli 2), piccola viuzza dislocata nell’attuale quadrilatero romano, andò a risiedere il boia urbano.
Tale era l’astio nei confronti del “taglia teste”, che questi, in città aveva un banco isolato e personale all’interno della Chiesa di Sant’Agostino.
A controbilanciare il tutto, la sua figura, oltre ad essere ben retribuita, riceveva diversi taciti privilegi da parte delle autorità di allora.
Nel 1575 esisteva un tariffario di retribuzione:
Impiccagione:  21 lire
Rogo eretici o streghe: 16 lire
Squartamento: 36 lire
Oltre al fatto di render giustizia, le esecuzioni facevano da forte richiamo alla massa, che accorreva incuriosita ad assistere.
Vi era una processione dove il condannato “sfilava”, partendo da via San Domenico 13, dove vi era il carcere “Le Sanatorie”, quindi percorreva via Dora Grossa (attuale via Garibaldi) fino a raggiungere il luogo del patibolo.
Durante la cerimonia il condannato faceva una, due soste nelle chiese, per ricevere la benedizione.
Nel corso della storia i capestri vennero collocati in luoghi differenti della città:
nel periodo più remoto: presso la Porta Palatina; successivamente venne spostato presso la piazzetta delle Erbe (piazza Palazzo di Città), in ultimo al Rondo’ della Forca (corso Regina, angolo corso Principe Eugenio, via Cigna). Durante l’occupazione francese la ghigliottina sostituì la forca, e le esecuzioni furono spostate in Piazza Carlina. ( Piazza Carlo Emanuele II )
I giustiziati venivano sepolti nel cimitero in via San Pietro in Vincoli.
L’ultimo boia di Torino si chiamava Piero Pantoni, del quale dinastia, di boia ne contava diversi. Uno di questi, Nicodemo Pantoni, nel XVIII secolo operò in città al servizio dei francesi.
Facendo visita alla Chiesa della Misericordia, in via Barbaroux, si trovano alcuni reperti dell’epoca, tra i quali: un registro con i nomi dei giustiziati ed il cappuccio dei condannati.

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Giulia di Barolo

Juliette Colbert di Maulévrier, coniugata con Falletti di Barolo; (Nata a Maulévrier il 27 giugno 1785  e deceduta a Torino, il 19 gennaio 1864).
Fu una marchesa francese naturalizzata italiana, meglio conosciuta come la Venerabile Marchesa Giulia di Barolo.
Nata da una nobile famiglia nella Loira Francese, durante l’adolescenza fu una damigella d’onore della prima moglie di Napoleone Bonaparte.
E proprio nell’ambiente nobile che conobbe il marchese piemontese: Carlo Tancredi Falletti di Barolo, che sposò a Parigi nel 1806.
Coppia unita da solidi principi di fede e carità, nel 1814 si trasferirono presso il palazzo di Barolo, a Torino.
Centro di ritrovo d’elite e spiritualità, dove trovò ospitalità reduce dala prgionia, il patriota Silvio Pellico.
A Torino la nobildonna si dedicò all’assistenza delle carcerate, ed intraprese iniziative benefiche, quali: rendere le scuole gratuite, fare assistenza ai poveri elargendo abbondanti donazioni.
Inoltre, finanziò, assime al marito, la costruzione del cimitero Monumentale, fondò la Congregazione delle suore di Sant’Anna, si impegnò in favore dell’istruzione, dell’igiene e presentò al governo di allora un progetto di riforma carceraria.
Nel 1838, quando il marito morì, venne sepolto nel cimitero da poco realizzato e da loro finanziato.
A partire dal 1845, la donna si dedicò al perfezionamento della coltivazione e della vinificazione del celebre vino Barolo.
Vino preferito e scelto da Carlo Alberto di Savoia, che sovente si recava presso le loro tenute e cantine, nell’omonimo paese delle Langhe.
La marchesa infatti apparteneva all’antico lignaggio di nobile tradizione enologica francese, disciplina che iniziò dai suoi antenati circa due secoli prima, nella regione di Reims, quindi nei castelli di Brézé e di Maulévrier, presso le regioni della Loira.
Un anno dopo l’unità d’Italia, nel 1862, la Marchesa finanziò, presso il quartiere Vanchiglia, la costruzione della chiesa di santa Giulia. Chiesa dedicata a Santa Giulia di Corsica (sua ononima).
I lavori iniziarono nel 1863, in presenza della Marchesa, per terminare nel 1866, data nella quale Giulia di Barolo non poteva assistere all’opera ultimata, in quanto la donna si spense nel 1864. La via adiacente alla chiese le fu dedicata.

(il volto della nobil Giulia è posto sopra una fotografia antica di Luciano Querio)

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Aeroporto di Mirafiori

A Torino, in zona Mirafiori, in corrispondenza del parco Colonnetti (via Artom, strada Castello di Mirafiori, strada delle Cacce, via Onorato Vigliani) all inizio del 1900 sorgeva un aeroporto.
Fu attivo dal 1910 al 1951, anno in cui venne definitivamente chiuso, dopo essere stato definitivamente distrutto nel 1945 da un raid aereo tedesco.
Fu costruito grazie ad uno dei primi Aeroclub nazionali “Societa’ aviazione Torino”(nata nel 1908).
Venne ufficialmente inaugurato nel 1911, in occasione dell'”Esposizione internazionale di Torino” e del cinquantenario dell’unita’ d’Italia.
Intitolato agli aviatori Carlo Piazza e Gino Lisi, l’aereoporto ha rivestito un ruolo fondamentale nella prima meta’ del secolo scorso. 
“Nel novembre 1910 “La stampa sportiva” organizzò e patrocinò una settimana di gare aviatorie sul prato dell’Ippodromo di Mirafiori. Assieme a piloti francesi e belgi vi parteciparono Ruggerone su Farman e Cagliani su Hanriot oltre a Manissero, Neri, Cobianchi, Mocafico, Cagno, Faccioli e Rossi.
La gara sulla distanza di 100 chilometri fu vinta da Neri su Antoinette
Quella di trasporto passeggeri e velocità da Cagno su Farman
Quella di quota da Fischer.
Quella di velocità pura da Manissero su Blériot con 82,1 km/h
Quella di decollo da Cobianchi su Farman con 39,50 metri”  
(da: aeroclubtorino.it)
I primi hangar costruiti furono quelli del famoso ingegnere Aristide Faccioli, pioniere del volo e dell’automobile del tempo, insieme all’ingegnete Francesco Darbesio, proprietario dell’azienda Asteria.
Fu proprio Darbesio ad ideare e collaudare, proprio presso Mirafiori, il primo aereoplano interamente italiano.
Diversi furono gli eventi che caratterizzarono l’aereoporto Torinese:
Oltre ad aver tenuto a battesimo il primo velivolo interamente italiano, nell’anno 1913 presero il brevetto militare due giovani piloti che in futuro avrebbero segnato la storia dell’aviazione italiana: Francesco Brach Papa e Francesco Baracca, asso della Grande Guerra. 
Francesco Brach Papa diventerà un importante pilota collaudatore di aeroplani, operante per una branca della FIAT.
Otterra’ 14 record aeronautici, 9 dei quali mondiali. Il primo dei suoi record lo stabilira’ il 7 luglio 1913, sul campo di Mirafiori, salendo ad un altezza di 3.050 metri a bordo di un biplano Farman.
Altra chicca che forse non in molti conoscono e’ che nell’autunno del 1915, Guglielmo Marconi, a Mirafiori effettuò i primi tentativi di comunicazione via radio tra l’aeroporto ed un aereo impegnato in volo.
Altro record “amarcord” avvenne quando, il 23 maggio 1917, dall’aeroporto sabaudo, decollo’ il primo volo postale italiano. Pilotato dal tenente Mario De Bernardi, dopo quattro ore di volo fece giungere a Roma 200 kg di posta, assieme a 100 copie del quotidiano “La Stampa”.
Nello stesso anno, il 24 settembre, il capitano Laureati, insieme al meccanico Tonso, raggiunsero Londra, dopo un volo privo di scali, durato 7 ore e 22 minuti. Un recod dell’epoca.
Purtroppo, il 20 novembre del 1911, si dovette registrare anche la prima vittima, in quanto Umberto De Croce su Chiribiri precipitò in fase di atterraggio.
Durante gli anni venti e trenta l’aeroporto divenne parte dell’Aeroclub Torinese riguardante i voli civili, e scuola per piloti della aviazione militare. 
Nel 1926 La FIAT costituì la Compagnia A.L.I. (Avio Linee Italiane successivamente diventata “Ali Littoria”), che nel 1929 effettuò il primo collegamento aereo di linea Torino-Roma, partendo proprio dall’aeroporto di Mirafiori.
Terminata la seconda guerra mondiale, l’aeroporto, bersaglio di ripetuti bombardamenti, versava in condizioni disastrose. Hangar, torre di controllo ed infrastrutture, eran state completamente distrutte.
L’esigenza di avere un aeroporto cittadino più grande e moderno porto’ a trasferirlo in un territorio piu’ adatto, trovando come nuova sede Caselle.
Nel 1976, l’amministrazione comunale, decise di destinare l’area alla realizzazione dell’attuale Parco Colonnetti.
Nella zona che un tempo ospitava hangar e officine, venne costruita la zona ricerca del CNR, dove vi e’ ha sede l’Istituto nazionale di ricerca metrologica, insieme ad una stazione del Laboratorio di Fisica dell’Ambiente Urbano del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino.

( le fotografie sono state prese dal gruppo fb Torino Piemonte Grup Antiche Immagini gruppo che possiede un vasto repertorio fotografico di antiche immagini )

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